ARTICOLOPUBBLICATO SU IL PICCOLO HANS 83-84
Riviere, / bastano pochi stocchi d’erbaspada / penduli da un ciglione / sul delirio del mare; / o due camelie pallide nei giardini deserti, / e un eucalipto biondo che si tuffi / tra sfrusci e pazzi voli / nella luce…
E. Montale
Fa la cameriera in un villaggio turistico che più volte ricorrerà nei suoi sogni, è addetta a servire nei poco frequentati tavoli periferici del ristorante all’aperto.
Nell’analisi intrapresa poco oltre una selva di dietologi, dermatologi e ginecologi, Xenia, un’adolescente di 17 anni, si interroga sulla scomparsa del ciclo mestruale e sui violenti accessi di fame in rapporto con l’essere al centro dell’attenzione, degli sguardi, di un dato luogo e, come vedremo, della città.
E’ nel letto dei genitori “dove” (1) nota sulla propria pelle delle macchie che un pensiero del sogno attribuisce all’esposizione al sole. Al risveglio le viene in mente la parola “pedagogia”.
Associando scopre che il walk-man le serve non tanto ad ascoltare musica quanto a ripararsi, girando in città, dai commenti degli uomini al cui centro si sente posta. Ma come fare a ripararsi, a non ascoltare i seducenti consigli di “cura” di amiche ed esperti?
Il sogno ha lavorato riconducendo la causa delle macchie sulla pelle alla loro fonte: i raggi paterni. Eppure non può esserci discorso altrui – la pedagogia delle terapie mediche o delle psicoterapie confezionate ad hoc per l’adolescenza – a esprimere questa verità.
La concretezza carnea in un’atmosfera da “pane selvaggio” e la materialità di fatti e sintomi si tramutano nella forma macchia. La sua pelle appare come il lenzuolo del letto matrimoniale dei genitori. Non è questione di viscere ma di superficie epidermica dove passa, disegnandosi, il discorso analitico; è lì che si traducono i termini della sua condizione di malessere. Ora diviene possibile smettere di ascoltare musica, amiche ed esperti.
Si trova su di un aereo al centro del quale c’è un suo compagno di corso che fa da modello; per disegnarlo in sogno deve avvicinarsi ma c’è un errore e non riesce a “riprenderlo”. Si alza e, piuttosto che osservarlo meglio, lancia attraverso una fessura una bottiglia che in seduta interpreta come simbolo di alcolismo.
Alle prese con una conflittualità già sul terreno (o è in volo?) genitale che si esprime in chiari termini alimentari, deve sbarazzarsi del rischio, nient’affatto scongiurato, di un vizio tossicomanico/anoressico (la bottiglia) cui la sua grande abilità nel disegno la espone con l’eliminare “ogni separazione tra sapere e agire” (2).
Il prezzo sembra alto: solo se l’abilità viene meno il vizio può essere abbandonato. Non riuscire a “riprendere” il modello al centro dell’aereo assume un doppio significato: un inciampo nel saper fare, nel ritrarlo (nel riprenderlo come con una cinepresa) e, ciò che è dello stesso ordine, evitare di ricalcare il modello di sua madre, la quale aveva chiesto alla propria madre di aiutare finanziariamente il genero, futuro padre di Xenia, senza esigere da lei prestiti in favore del suo fidanzato.
La mancata rimozione nel saper disegnare, scelto come professione, può aver comportato particolare sensibilità in Xenia alle tematiche del rapporto inconscio tra cibo e figura paterna, senza d’altro canto precludere altre rimozioni foriere di costruzioni simboliche.