by Andrea Rizzi | 22 Apr 2010 | Paradigma Bionico-protesico, Psicoterapia
Estratto del capitolo pubblicato su “Trattato di Medicina Estetica” di A. IOSSA FASANO, A. PIGNATARO, S. TOTO “Sono solo i superficiali a non giudicare dalle apparenze” Oscar wilde L’immagine corporea, dalla science fiction alla scienza medica e psicologica, si afferma oggi in uno scenario di epocale svolta che si cercherà qui di delineare, sviluppando le conseguenti riflessioni sulle condotte pratiche che gli specialisti in Medicina Estetica possono adottare. In cosa consiste la svolta epocale? Nel passaggio dell’identità umana da una condizione protesica a una configurazione cyborg. Transizione al contempo drammatica (traumatica) e affascinante (coinvolgente e sconvolgente) con cui ciascun soggetto – il medico come il paziente – si trova a fare i conti. Un apparato psichico (nell’accezione di psiche o di mente) lavora in parallelo allo sviluppo di abilità motorie, delle relative rappresentazioni e delle trasformazioni che le interazioni producono. Verrà qui posta particolare attenzione alle forme esteriori del soma e alle azioni rivolte ad agire su di esse. L’osservazione del soggetto umano e delle relazioni che stabilisce con l’ambiente esterno va estesa ai dispositivi che utilizza o di cui dispone. E’ possibile finalmente pensare a un apparato psichico che non sia metafisico, né invisibile, né interno, ma che sia proteso nell’ambiente e interagente nello spazio materiale. L’organismo fisico diviene il primo stadio in cui la psiche stabilisce un collegamento tangibile e regolabile, grazie ad ausili protesici, con varie dimensioni e mondi. Mentre si immaginava la psiche come qualcosa di etereo e di immateriale, ecco il rovesciamento di posizioni per cui è proprio l’ausilio protesico a rinviare all’apparato psichico e si afferma l’idea che non ci sia psiche se...
by Andrea Rizzi | 27 Aug 2009 | Psicoterapia
BRANO TRATTO DA Il colorepensiero del soggetto psicotico in Ambulatorio/Il piccolo Hans N° 1/1999, Moretti & Vitali, Bergamo. Marco, dodicenne, va male a scuola: è indisciplinato, scadente nel profitto e, nonostante l’insegnante di sostegno e le cure psicologiche, ne combina di tutti i colori. Molteplici sono le difficoltà che hanno incontrato genitori, educatori e terapeuti nel comprenderlo e nell’aiutarlo. Dopo due anni e mezzo di psicoterapia, al posto di un paventato esordio schizofrenico, Marco muta stile di relazione e parla degli interessi che concretamente coltiva: giardinaggio e orticoltura, astronomia, personal computer e soprattutto l’arte figurativa moderna. Viene attratto dalla possibilità con due “sbaffi” o tre segni di comporre quadri del valore di decine di milioni. Lui, così segnato da traumatismi comincia a pensare che quei segni possono non attaccare l’apparato psichico, né depositarsi più sul suo corpo o su quello altrui, ma sulla tela attraverso tecniche raffinate e consapevoli. In seduta si dicono poche ma essenziali parole, si disegna e si dipinge, nessuna interpretazione. Il terapeuta osserva l’aprirsi di Marco alle forme della natura: piante, animali, costellazioni in rapporto a cui reperire le coordinate della propria posizione nel mondo e in un contesto civilizzato che Marco va ormai riconoscendo, ma che ancora non riserva un posto per lui. La terapia analitica, che comincia a dare i primi frutti, gli consente di scongiurare la deriva psicotica: si tratterà di comporre il disegno del progetto attraverso cui conferire forma alla propria esistenza soggettiva, realizzarne realmente la costruzione e riuscire finalmente ad abitarla. A distanza di dieci anni dal termine del trattamento, Marco fluttua tra una regione del Centro-Italia e la casa...
by Andrea Rizzi | 27 Aug 2009 | Psicoterapia
ARTICOLOPUBBLICATO SU IL PICCOLO HANS 83-84 Riviere, / bastano pochi stocchi d’erbaspada / penduli da un ciglione / sul delirio del mare; / o due camelie pallide nei giardini deserti, / e un eucalipto biondo che si tuffi / tra sfrusci e pazzi voli / nella luce… E. Montale Fa la cameriera in un villaggio turistico che più volte ricorrerà nei suoi sogni, è addetta a servire nei poco frequentati tavoli periferici del ristorante all’aperto. Nell’analisi intrapresa poco oltre una selva di dietologi, dermatologi e ginecologi, Xenia, un’adolescente di 17 anni, si interroga sulla scomparsa del ciclo mestruale e sui violenti accessi di fame in rapporto con l’essere al centro dell’attenzione, degli sguardi, di un dato luogo e, come vedremo, della città. E’ nel letto dei genitori “dove” (1) nota sulla propria pelle delle macchie che un pensiero del sogno attribuisce all’esposizione al sole. Al risveglio le viene in mente la parola “pedagogia”. Associando scopre che il walk-man le serve non tanto ad ascoltare musica quanto a ripararsi, girando in città, dai commenti degli uomini al cui centro si sente posta. Ma come fare a ripararsi, a non ascoltare i seducenti consigli di “cura” di amiche ed esperti? Il sogno ha lavorato riconducendo la causa delle macchie sulla pelle alla loro fonte: i raggi paterni. Eppure non può esserci discorso altrui – la pedagogia delle terapie mediche o delle psicoterapie confezionate ad hoc per l’adolescenza – a esprimere questa verità. La concretezza carnea in un’atmosfera da “pane selvaggio” e la materialità di fatti e sintomi si tramutano nella forma macchia. La sua pelle appare come il lenzuolo...