ESTASI, DEPERSONALIZZAZIONE E RAPPRESENTAZIONE DEL MOTO

MOVIMENTO E ACCOGLIMENTO NELL’ATTO ANALITICO

L’istante è il paradosso del tempo fermo. Il mo(vi)mento racchiude la pretesa di isolare il flusso del divenire in una unità, scomposizione che è frutto dell’att(im)o analitico.

Analista e ossessivo sono compagni di pensiero accomunati da uno stile simile.

Massimo comun denominatore è la rappresentazione del moto.

Ma non la rappresentazione mentale, quanto la condivisa presentazione sociale di quel movimento che caratterizza l’altro vivo, la città e la civiltà. Oppure analisi come possibile riconoscimento e accoglienza di quel moto che riprende e ridiviene possibile dopo una paralisi, anch’essa magnetico invischiamento di più attori, vivi e morti. Sorta di arco teso tra Zenone e i Futuristi.

La ri-presentazione del moto si fonda sulla stasi. La possibilità erratica racchiude quella estatica da cui sorge e da cui viene riproposta[1].

La mente estatica[2] si apre con insistenza sui temi del movimento e dell’accoglimento-accettazione. Il capitolo Sulla spiaggia è pervaso da un obliquo osservare il moto ondoso: “Sguardo-mare (…) Tempo espanso. Non immobile ma come fluttuante in immobilità. (…) Le barriere sono l’orizzonte dell’agire. Piuttosto lasciar affluire, lasciar defluire, immergersi, nuotare nella corrente”. I riferimenti all’accoglimento-accettazione ne punteggiano l’incipit: “Anche per la scoperta freudiana fu così? Un’accettazione di qualcosa che veniva, in un certo senso, dall’esterno, dopo un estenuante brancolare? (…) ho accettato e direi quasi ascoltato ciò che mi veniva da non so dove. (…) Non meditazione né raccoglimento. Accoglimento. (…) Accettazione della posizione del corpo, del suo peso, di ogni singola giuntura. (…) Ma l’accoglimento non è simmetrico alla difesa. (…) L’insistenza sulle difese è sempre implicitamente, insistenza sull’offesa, sulla capacità di offendere. Collegamento del sistema vigilanza-difesa con la più affermata impostazione virile. E allora accogliere: femminile? (…) Accogliere chi? Un ospite-interno. Accoglierlo prima di esaminarlo ed eventualmente respingerlo. Intrepidezza, atteggiamento infinitamente più e alla fine forse più efficace della prudenza di chi edifica muraglie”[3].

Fachinelli ravvisa alcuni rischi che una teoria della barriera (relativa alle difese psichiche) comporta per chi ne sia portatore o per chi vi faccia riferimento.

Ignoro e non intendo qui approfondire eventuali contatti e relazioni tra Fachinelli e i fondatori della rivista Il Piccolo Hans. Di sicuro La mente estatica incontra fondamenti, luoghi e nozioni che in quella teoresi, prima lacaniana, poi sempre più freudiana e poi ancora avanzante nella contemporaneità è possibile individuare.

In questo r-accogliere il moto c’è uno specifico dell’esperienza analitica?

ESTENSIONI E DELIMITAZIONI NELL’ESPERIENZA ESTATICA

Dappertutto c’è moto e c’è stasi. Il primo richiama la vita, la seconda un limite che in un punto arriva a coincidere con la morte.

Il lascito di Fachinelli pone nell’estasi qualcosa che, nonostante il titolo del testo, non è sovrapponibile alla sola dimensione del mentale. L’estasi riporta al carattere esterno-esteriore-esteso dell’apparato psichico. Tra il non saper nulla dell’estensione spaziale nella realtà e il saperne tutto cui la psiche umana è condannata, si muove la presente ricerca che riprende alcuni temi della Mente estatica.

L’accezione di una psiche estesa nel sociale o introflessa nel mondo interno è conseguenza di una scelta culturale dello psicoanalista e del suo gruppo di appartenenza scientifica.

In questa tenue luce l’estasi non va affatto intesa come misticismo dell’interiorità e della chiusura, ma appare  di gran lunga più affidabilmente orientata verso quel fuori che strutturalmente indica.

EPIFANIA E OFFESA IN JAMES JOYCE

La fine del XIX secolo prepara discipline diverse a un unico progetto: l’incrocio tra lo spazio e il tempo, la riproduzione dell’immagine e del suono, cimento di forma e sostanza dove all’iniziale prevalere del primo termine nella diade non corrisponde l’eliminazione del secondo.

La rappresentazione del moto apre il Novecento con l’avvento di cinema, psicoanalisi e teoria della relatività. Sinottica contemporaneità con la prima guerra tecnologica, quella russo-giapponese del 1904-5 e, nello scenario triestino, la scrittura joyciana che delinea mappe metropolitane e vi traccia itinerari. Traiettorie, il più delle volte immobili, dove la coscienza si fa catalogo e ventaglio del molteplice. Impossibile e fallace ogni interpretazione psicoanalitica, se non in opposizione a una lettura univoca e riduttiva.

“Ma Joyce non seguì certo gli altri su questa strada…dapprima l’espressione drammatica in cui l’artista si pone come il relatore di momenti memorabili proprio per la loro banalità (…) molte delle epifanie (…) sono (…) registrazioni di sogni o di allucinazioni. Ma è proprio a questo punto che Joyce si ferma e assume un atteggiamento ironico nei confronti di queste sue creazioni verbali”[4].

Più che la presunta ironia o il carattere verbale della sua creazione, a noi qui interessa il fatto che Joyce “si fermi”. “L’epifania era stata concepita da Joyce non come nucleo dinamico narrativo, ma come oggetto statico da contemplare nella sua compiutezza e autosufficienza”[5].

In Joyce si ritrovano entrambe le componenti: quella della durata narrativa e quella della rivelazione nell’istante, anche se poi la seconda sembra affermarsi e come tale va a collocarsi, a incastonarsi in forma celata di epifania nelle sue quattro grandi opere.

Il successivo modo di considerare e utilizzare l’epifania, attiene alla necessità di  accogliere l’elemento visivo – visioni, sogni e allucinazioni – della materia che si rivela e non solo quello uditivo o significante: “Quidditas luminosa ma non irradiante”[6].


[1] Non interessa, tanto meno qui, il raffronto tra diversi modelli della mente, quanto la conferma del paradigma freudiano attraverso la constatazione della simultaneità, come dire, semiosferica del lavoro sull’apparato psichico tra autori quali Proust, Joyce e Valery.

[2] E. Fachinelli, La mente estatica, Adelphi, Milano, 1989.

[3] E. Fachinelli, cit., p 17, 19, 21

[4] G. Melchiori, in Joyce, Poesie e Prose, p. 146.

[5] G. Melchiori, cit., p. …

[6] G. Melchiori, cit., p.G. Melchiori, cit., p. 147.