Un estratto dell’articolo dalla rivista Il piccolo Hans- Il Cefalopodo n° 2 /1996
Il volume fu presentato da Sergio Finzi, Enrico Ghezzi, Gabriele Frasca e da Augusto Iossa presso il Duomo Center di Milano il 21 marzo 1996
ANITA, ANNI QUATTORDICI, Un caso di isteria traumatica
Di solito il caso dell’adolescente conferma l’affermazione per cui il trauma giunge inavvertito: silenzioso e invisibile. Non lo avverte il soggetto che ne è vittima, accusando poi sofferenze inspiegabili, non lo avvertono i terapeuti, gli educatori o i genitori che ne sono, o ne sono stati, anch’essi esposti.
Anita, non ancora quindicenne, ingerisce un limitato numero di compresse di farmaci trovate nella casa in cui vive con la madre separata. Dopo un paio di giorni di osservazione accetta, senza molta convinzione, una fase di valutazione individuale con lo psicoterapeuta.
Fino ad allora era apparsa serena, a tratti spensierata, socievole e ben adattata: niente che sembrasse giustificare l’ingerimento delle pastiglie.
Nel corso della psicoterapia emerge il persistente conflitto tra i genitori che ancora la utilizzano strumentalmente coinvolgendola in contrasti a lei estranei e la difficoltà nella regolazione delle distanze da un padre pressante e geloso.
Le sedute sono spesso arricchite dal racconto dei sogni e dalle associazioni alle quali giunge grazie anche all’aiuto dell’analista. Le quote di angoscia sono rilevanti, ma Anita non intende lasciarsi sfuggire l’occasione per regolare i conti con se stessa e con il proprio passato.
L’adolescenza si configura come un portato di traumatismi, reali e fantasmatici, che vanno trattati: il trauma da lei subito rischia di instaurare una pericolosa modalità di “apprendere dal trauma”. Nel suo trattamento il lavoro onirico riconduce l’angoscia, posizionandola nel contesto traumatico delle proprie vicende.
La terapia le ha consentito di procedere nell’elaborazione di una separazione tra i genitori e dai genitori che si è giocata sul piano antropologico e psicoanalitico.